miércoles, 30 de abril de 2014

Casa Juanjo

Ebbene sì, ci siamo anche noi! Abbiamo aspettato che calasse un po' il sole, che negli ultimi giorni sta picchiando abbastanza forte...ma non potevamo mancare all'appello per un'iniziativa così bella e interessante come la Notte del lavoro narrato. Sì, abbiamo pensato che volevamo esserci anche noi, e dare un piccolo contributo "floreale". Noi piante siamo molto impegnate nel sociale, in un modo tutto nostro certo, ma siamo state sempre presenti nella storia dell'umanità, come simboli, abbiamo prestato i nostri nomi e i nostri colori a ideali e passioni.
Avremmo tante storie da raccontare, tante idee da condividere, tanti suggerimenti da dare. Ma per questa sera ci limiteremo a darne tre, sulle quali, dopo lunga disquisizione, ci siamo messi d'accordo.
La prima cosa che vogliamo condividere con voi è una splendida poesia del grande poeta Miguel Hernández Aceituneros. Ci piace condividerla perché Miguel era andaluso come la maggior parte di noi, perché lui con il lavoro ci ha vissuto i primi anni della sua vita e le sue prime poesie sono nate all'ombra di una quercia, di un naranjo come me...o di un ulivo. Sì, Miguel era un pastore di capre, e di alberi di ulivo ne ha visti tanti. E ha visto anche tanti aceituneros, i raccoglitori di olive, a cui ha dedicato questa bellissima poesia:

Andaluces de Jaén,
aceituneros altivos,
decidme en el alma: ¿quién,
quién levantó los olivos?

No los levantó la nada,
ni el dinero, ni el señor,
sino la tierra callada,
el trabajo y el sudor.

Unidos al agua pura
y a los planetas unidos,
los tres dieron la hermosura
de los troncos retorcidos.

Levántate, olivo cano,
dijeron al pie del viento.
Y el olivo alzó una mano
poderosa de cimiento.

Andaluces de Jaén,
aceituneros altivos,
decidme en el alma: ¿quién
amamantó los olivos?

Vuestra sangre, vuestra vida,
no la del explotador
que se enriqueció en la herida
generosa del sudor.

No la del terrateniente
que os sepultó en la pobreza,
que os pisoteó la frente,
que os redujo la cabeza. 

Árboles que vuestro afán
consagró al centro del día
eran principio de un pan
que sólo el otro comía.

¡Cuántos siglos de aceituna,
los pies y las manos presos,
sol a sol y luna a luna,
pesan sobre vuestros huesos!

Andaluces de Jaén,
aceituneros altivos,
pregunta mi alma: ¿de quién,
de quién son estos olivos?

Jaén, levántate brava
sobre tus piedras lunares,
no vayas a ser esclava
con todos tus olivares.

Dentro de la claridad
del aceite y sus aromas,
indican tu libertad
la libertad de tus lomas.

(Andalusi di Jaén,
olivari di lignaggio,
ditemi di tutto cuore:
chi, chi mai innalzò gli ulivi?

Non fu il nulla ad innalzarli,
né il denaro, né il padrone,
ma la tua terra silenziosa,
il lavoro ed il sudore.

Mescolati all’acqua pura
e in congiunzione ai pianeti,
diedero i tre la bellezza
di quei tronchi tutti attorti.

Alzati, olivo canuto,
dissero alle ali del vento.
E l’ulivo alzò una mano
da radici poderose.

Andalusi di Jaén,
olivari di lignaggio,
ditemi di tutto cuore:
chi, chi mai allattò gli ulivi?

Sangue vostro e vita vostra,
e non di uno sfruttatore
fatto ricco dalla piaga
generosa del sudore.

Non quella del possidente
che poveri vi ha sepolto,
che vi calpestò la fronte,
che la testa vi piegò.

Da alberi che il vostro affanno
consacrò al centro del giorno
ha avuto origine un pane
che solo un altro ha mangiato.


Di raccolte quanti secoli,
piedi e mani prigionieri,
sole a sole e luna a luna,
pesano sulle vostra ossa!

Andalusi di Jaén,
olivari di lignaggio,
di chi, la mia anima chiede,
di chi sono questi ulivi?

Jaén, sorgi valorosa
sulle tue pietre lunari,
non consegnarti da schiava
con tutti i tuoi olivari.

Nell’aura di chiarità
dell’olio e dei suoi aromi,
mostra la tua libertà
la libertà dei tuoi colli.)


E sempre dal lavoro, anche se più oscuro e profondo perché portato avanti da buie fucine, nasce un'altra forma d'arte, un canto antico e sofferto che come il martello sul ferro, batte sul palato di bocche antiche come quelle del popolo gitano, che di generazione in generazione, oltre al lavoro di fabbro, ha ereditato anche un canto chiamato martinete, un canto di accompagnamento al duro lavoro di colui che forgia, tra fuoco e ferro, tra sudore e sangue.
Nulla di meglio che ascoltarlo, questo canto scandito dal martello, attraverso la voce del tio Juan e dei suoi antenati: "questa è l'eredità che mi ha lasciato il mio bisnonno: dal mio bisnonno a mio nonno, da mio nonno a mio padre, da mio padre a me. E io ai miei figli."
E infine, abbiamo dovuto rendere omaggio ai nostri piccoli amici, i garofani, che sono gli unici, tra noi, ad aver dato il nome a una rivoluzione. Una rivoluzione partita da chi lavorava con la propria vita al servizio di un regime che li mandava a uccidere e a morire per ideali in cui non credevano. Quei soldati si unirono, un 25 aprile di tanti anni fa, per dire basta alla guerra, alla tirannia, alla barbarie. E marciarono sulla capitale con garofani nei loro fucili e una canzone nel cuore. Con questa vi diciamo buona notte e ci auguriamo che il lavoro possa essere la nostra rivoluzione di questa sera e di questa epoca, e che noi fiori continuiamo ad accompagnare le cose belle di questa vasta umanità che ci passa accanto.